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Questo arti­co­lo è sta­to orig­i­nar­i­a­mente pub­bli­ca­to su car­ta il 16 otto­bre in Left.

In mostra a Milano (zona Lam­brate), “Beyond”, per­son­ale di Zehra Doğan, alla Prom­e­teo Gallery fino al 15 novembre.

Zehra Doğan è una gio­vane artista cur­da, nata a Diyarbakır, la più grande cit­tà a mag­gio­ran­za cur­da del­la Turchia. Nel 2016 è sta­ta arresta­ta per un tweet: un dis­eg­no del­la cit­tà di Nusay­bin, dis­trut­ta dagli scor­pi­oni dell’esercito tur­co. Non c’è alcun capo d’accusa, ma Zehra viene con­dan­na­ta per ter­ror­is­mo. Il regime ha il ter­rore di ques­ta gio­vane don­na min­u­ta, dai lunghi e sof­fi­ci capel­li neri come l’ebano, arma­ta fino ai den­ti di alcune delle cose che più fan­no pau­ra a ogni potere autori­tario. L’arte, l’immaginazione e la verità.

Zehra è costret­ta in carcere per oltre due anni, dipinge e quan­do le tol­go­no anche col­ori e fogli, con­tin­ua con quel­lo che tro­va: caf­fè, thé, resti di cibo, capel­li, anche il sangue mestru­ale e l’urina. Dipinge ovunque può, su car­ta da pac­chi, lenzuo­la, asci­uga­mani, fogli di gior­nale. E la sua arte, per la quale è sta­ta arresta­ta, tro­va il modo di evadere le mura del carcere.

  • Zehra Dogan

Ora Zehra è “lib­era”, ma non lo sono tante delle sue com­pagne di carcere e non lo è il suo paese, né il Kur­dis­tan né la Turchia. E lei, costret­ta all’esilio in Europa, non può tornare nel­la sua ter­ra. Ma la sua arte, pesante come la ter­ra, con­tin­ua a volare leg­gera con ali di far­fal­la, sopra la mes­chinità del potere e del­la repres­sione, sfi­dan­do il regime autori­tario e fascista di Erdoğan e denun­cian­do all’Europa la strage del popo­lo curdo.

zehra dogan

Zehra Doğan “Pesce don­na”, 100 x 78 cm. Acrylique, col­lage sur toile. 2019 London.

Le opere in mostra a Milano, tutte recen­ti, sono di una poten­za asso­lu­ta, vio­len­ta e frag­ile al tem­po stes­so. Appese ai muri, sono in realtà loro a inchio­dar­ti alla ver­ità e alla respon­s­abil­ità di un occi­dente che, nos­tro mal­gra­do, ha scel­to di non vedere. Sono soprat­tut­to gli occhi spalan­cati delle sue donne, negli sguar­di fis­si, immo­bili, ier­ati­ci come icone bizan­tine di un tem­po lon­tano, ad alzarsi come un gri­do di denun­cia potente e doloroso.

Molto più delle armi vere che por­tano sui loro cor­pi nudi e straziati, sono i loro occhi la loro arma più potente. “Guarda­mi, il mio popo­lo è sog­gioga­to, la mia ter­ra è sac­cheg­gia­ta, non sono lib­era di vivere in pace, il mio cor­po è umil­ia­to, inva­so, con­quis­ta­to, posse­du­to. Ma i miei occhi sono liberi. Liberi di rac­con­tare e denun­cia­re al mon­do il dram­ma del mio popo­lo, attra­ver­so il dolore delle mie madri, delle mie sorelle, delle mie figlie”.

Ora, final­mente, sia l’Europa ad aprire gli occhi…

Post scrip­tum: Nel 1937, Bre­ton scrisse che l’arte di Fri­da Kahlo era “come un nas­tro intorno a una bom­ba”. In modo molto diver­so, anche l’arte di Zehra Doğan è questo: un’arma avvol­ta da un nas­tro di seta orientale.

Eliana Como 

 

eliana como


 

Eliana Como
E’ una sindacalista Cgil e curatrice di una pagina FB dedicata alle donne pittrici, @chegenerediarte

 


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